Nel Ragusano la prima condanna per uso non autorizzato di sementi brevettate: un anno. Sfruttamento della terra e dei lavoratori: l’agricoltura vista unicamente come profitto

Ragusa -

Un produttore del Ragusano avrebbe piantato pomodori protetti da copyright della multinazionale Syngenta. Con una sentenza senza precedenti arriva il primo provvisorio risultato di una crociata decennale delle lobby europee, la condanna a un anno di carcere e 15mila euro di multa per “fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale”. L’obiettivo è farsi pagare ogni volta che qualcuno ripianta un seme coperto da copyright. L’inizio della fine della agricoltura contadina, della produzione genuina e naturale.

In un territorio quello della  “fascia trasformata” del Ragusano dopo la sentenza Boschetari di 3 anni fa, in cui per la prima volta in Italia veniva smantellata e condannata una rete criminale di sfruttatori che a fini lavorativi (e non sessuali come era sempre avvenuto) trafficava vittime dalla Romania per impiegarle nelle serre riducendo questi lavoratori e lavoratrici in schiavitù, ecco che arriva un altro record: nella fascia trasformata si attua la prima condanna ad un’azienda per aver piantato pomodori protetti da copyright, un anno di condanna.

Sembrano due storie lontane tra loro, ma in realtà hanno un unico comune denominatore: lo sfruttamento, da un lato da parte delle multinazionali nei confronti delle imprese agricole, dall’altro di imprenditori e organizzazioni criminali nei confronti dei lavoratori.

Il tutto avviene in un territorio, quello della "fascia trasformata", che dello sfruttamento ha fatto il proprio punto di forza per reggere in un mercato globalizzato.

In questo territorio insistono più di 5300 aziende agricole, più di 28.000 lavoratori agricoli regolari, uno dei mercati di vendita dei prodotti agricoli tra i più importanti in Italia.

In questo contesto lavorano migliaia di donne e uomini sfruttati per 30 euro al giorno, che vivono in magazzini all’interno delle aziende o in casolari abbandonati entrambi spesso senza acqua né luce, dove ai bambini viene negato il diritto all’infanzia, dove le donne lavoratrici spesso sono costrette a sottostare ai soprusi sessuali del padrone.

Questi fatti sono stati raccontati da numerose inchieste giornalistiche, da numerosi interventi del nostro sindacato di strada, ma anche dalle operazioni delle forze dell’ordine.

In questo lembo di terra non esiste legge, il territorio è devastato dalla plastica e dai rifiuti, le imprese più importanti attuano metodi mafiosi nei confronti dei lavoratori (vedi relazione antimafia).

La condanna di questo imprenditore, parte attiva di quella catena di sfruttamento dei lavoratori a cui accennavamo prima, si inserisce in questo contesto.

Se davvero si vuole invertire la rotta, si vuole ridurre il peso delle multinazionali all’interno della filiera agricola non si può non partire dal contrasto allo sfruttamento in ogni sua forma, perché la filiera agricola, all’interno di questo sistema economico, si trasforma per forza di cose in una catena di sfruttamento dove a partire dalle multinazionali, passando per la grande distribuzione e gli imprenditori si arriva al lavoratore, tutto si lega.

Per queste ragioni lottare per la sovranità alimentare è lottare per una produzione agricola sostenibile nel rispetto della natura ma soprattutto nel rispetto dei lavoratori della terra. Ci rivolgiamo quindi a tutte le organizzazioni dei produttori agricoli, dei consumatori affinché si uniscano alle giuste lotte dei lavoratori della terra.

 

Basta sfruttamento dei braccianti.

Basta sfruttamento della terra da parte delle multinazionali sementiere.

Vogliamo lavoro sano, vogliamo un cibo sano.

Braccianti, contadini, consumatori uniti nella lotta

 

Coordinamento lavoro agricolo Unione Sindacale di Base